Concorso Pittorico Allieve di Patrizia Pollato
Il paradiso annoia di Roberta Rocchetti
leggete il racconto, subito dopo visionate l'interpretazione artistica di Rita e
votate
Un po' di emozione non poteva negare di provarla, anzi era decisamente emozionato. Finalmente dopo tanta preparazione, studio, prove, frustrazioni, paure e speranze quella sera Lupo avrebbe tenuto il suo
concerto.
Tutto era cominciato molti mesi prima, anni prima. Neanche lui riusciva a ricordare bene quanti, l'inizio di quell'avventura sembrava perso nelle nebbie del tempo e della città che con la nebbia amoreggiava spesso.
Vienna. Come è possibile vivere a Vienna e non desiderare di diventare musicisti? Così anche a Lupo era successo di cadere vittima di quell'incantesimo, fin da bambino era stato quello il suo sogno e ora quel pianoforte al centro del palcoscenico gli diceva a gran voce che il suo sogno era divenuto realtà. Amava tutto del teatro, gli echi, i ricordi custoditi tra le poltrone e negli anfratti dei palchi, le emozioni sedimentate sui tendaggi, il freddo intreccio dei fili e dei tubi in alto, sopra il palcoscenico, in quello scampolo di realtà invisibile al pubblico. Spesso durante le lezioni, quando l'insegnante li portava a provare direttamente in teatro si incantava ad ascoltare quelle sensazioni che gli arrivavano addosso come un'ondata formata dal tempo. Cominciava a vagare per il teatro, a leggere i vecchi spartiti, tanto che ancora non aveva avuto modo di provarlo quello strumento che ora come un corpulento sovrano stazionava enorme e solenne poco lontano da lui. Ogni singola volta, che gli altri studenti, in un momento poco interessante della lezione si distraevano con smartphone e cuffiette, lui entrava sistematicamente in una condizione quasi ipnotica solo per il fatto di trovarsi in teatro e storie e musica prendevano vita nella sua testa fondendosi in qualcosa di assolutamente meraviglioso. Spesso si scuoteva e tornava alla realtà quando la lezione era già finita e tutti gli studenti si preparavano per tornare ognuno alla propria casa, uscivano in fretta dirigendosi ognuno alla propria auto o verso la metropolitana.
Allora anche lui raccoglieva le sue cose e con un sospiro tratto a metà dalla suggestione e a metà da una dolce, umida malinconia che chissà perché, non lo abbandonava mai del tutto, si accingeva ad uscire.
Lo aveva pagato caro quel sogno, la sua infanzia era stata quasi esclusivamente studio, ora vedeva gli altri ragazzi perdersi dietro ai videogiochi, alle serate nei locali e pensava che gli unici suoi giochi e svaghi erano stati il pianoforte e qualche minuto di spensieratezza giocando a carte con sua sorella, come se appartenesse ad un'altra epoca. In effetti trovava abbastanza lontano dal suo sentire anche il loro modo di nutrirsi o di vestirsi, a lui piacevano gli abiti ricercati, non tollerava lo stile casual, e amava i cibi tradizionali. Non voleva saperne di MacDonald's o simili, prediligeva gli arrosti di fagiano con un buon purè di patate, o un gulash piccante innaffiato da un vino del Trentino, il suo preferito era il Marzemino. Ma quando assisteva alle lezioni con loro la musica li univa e non esistevano più differenze, la musica è l'uniforme più bella del mondo, pensava.
Anche a livello personale quella passione l'aveva pagata, aveva avuto delle ragazze, spesso non aveva saputo dire di no alla tentazione di esercitare il potere di seduzione che agiva nella mente femminile quando affermava di essere un musicista. Ne aveva una più paziente di altre che lo aveva sempre aspettato, che lo aspettava tutt'ora e che sapeva gli sarebbe stata vicino per sempre, ma anche in questo ambito, la prima, la più importante era sempre stata la musica. A cui tutte si erano dovute accodare in termini di importanza e di tempo dedicato.
Ora cominciavano ad arrivare gli altri studenti, ad uno ad uno si sarebbero seduti al loro posto, Lupo sapeva dov'era il suo, sempre lo stesso, era sempre stato così. L'adrenalina cominciava a salire, quella che provava era anche forse paura ma decise di ricacciare indietro quella sensazione, i suoi genitori l'avevano chiamato Lupo perché la sua vita fosse accompagnata dal coraggio che contraddistingue quell'animale e coraggio lui avrebbe messo in campo.
Allora decise, in un attimo nel quale ancora regnava una confusione assoluta e gli altri musicisti non avevano ancora preso posto, di sedersi per un istante al pianoforte per non arrivare troppo emozionato al momento di inizio del concerto, per familiarizzare con ciò che lo aspettava.
Dalle quinte si diresse velocemente verso il centro del palco nel quale lo Steinway a coda troneggiava. Si sedette, approntò le mani sopra la tastiera e le posò sui tasti.
Il pianoforte non suonò.
Riprovò.
Nulla.
Dopo il primo momento di perplessità Lupo volle sincerarsi del perché quello strumento che avrebbe dovuto sostenere un concerto una manciata di minuti dopo non suonasse, si avvicinò appoggiò la mano di nuovo e fu lì che vide chiaramente e senza possibilità di dubbio che le sue dita passavano attraverso la tastiera senza riuscire a toccarla.
Si alzò in preda al panico, inciampò e cadde, si rialzò, si rimise a correre ed inciampò di nuovo, una delle studentesse ormai vicino a lui si girò di scatto, come fosse stata colpita da una corrente fredda improvvisa, nel farlo rovesciò un leggio e relativo spartito che si chiuse cadendo.
Lupo lesse l'iscrizione:
Concerto per pianoforte e orchestra N° 23 K 488 di Wolfgang Amadeus Mozart – 1756 – 1791
Poi vide l'immagine del compositore ritratta sotto il titolo e rivide lo stesso viso che si era specchiato poco prima sulla superficie lucida del pianoforte. Il suo viso.
Quel nome... Lupo.
Wolfgang significa “colui che cammina a passo di lupo”, tutto era chiaro, sorrise malinconico.
La musica aveva avuto la meglio anche sul paradiso.
Foto dell'opera a cura di Giulia Bacchetta