«Tornerà», mormorò, accoccolata sullo sgabello davanti alla porta del capanno costruito con le sottili canne di palude che cantavano al più piccolo soffio di vento come se Pan stesso zufolasse una canzone. E, sulla laguna, il vento soffiava sempre. Selina aspettava. Aspettava il suo uomo, che era andato a pescare con i compagni le lunghe e guizzanti anguille. Selina aspettava. Aspettava il figlio che sarebbe nato sul finire dell’estate e che già sentiva forte e simile al padre. Il gatto soriano, che divideva con loro la piccola lingua di terra che si allungava nell’acqua salmastra, le si strusciò alle gambe, richiedendo, o forse donando attenzione. I gatti sono imperscrutabili, sono padroni esigenti che accettano come sovrani l’obolo che spetta loro. Ma a volte sanno quando lenire gli affanni dell’animo e le loro fusa, quel monotono e ipnotico sussurro che rallenta il pulsare della paura, che spiana le difficoltà che rasserena anche i più incupiti. Così era per Cacciatore, il gattino trovato un giorno di pioggia, mentre miagolava disperato, galleggiando su una tavola di legno, abbandonato e solo nella vastità di quell’acqua grigiastra, mentre due gabbiani gli volteggiavano intorno, assordandolo con le loro strida roche. Il micino era entrato a far parte dell’ancora piccola famiglia di Selina e subito appena cresciuto un po’ aveva iniziato a rendersi utile, cacciando prima qualche lucertola, poi dedicandosi ai topi che insidiavano le poche provviste di Benvenuto e Selina. Si era conquistato di diritto il suo nome di Cacciatore e così si comportava, affettuoso a momenti, evanescente come la luce sulla laguna, orgoglioso vincitore di battaglie cruente. I topi e le lucertole avevano un bel daffare a evitare le piccole zanne e gli artigli affilati del gatto. Selina aspettava. Aveva rassettato la capanna e ora preparava le fasce che avrebbe usato a breve. Il sole era caldo, via via che il giorno avanzava, e lei si era messa all’ombra dell’unico albero che riusciva a crescere su quei brandelli di terra che riuscivano a emergere, contendendo da un lato al mare, dall’altro al grande fiume il diritto di esistere. La giovane donna fece solecchio con la mano e scrutò la distesa luccicante davanti a lei: ormai i sarebbe dovuta avvistare la barca di Benedetto, non tornava così tardi la mattina, dopo una notte a pesca. Lei aveva già preparato la parca mensa: del pane raffermo e qualche pezzo di anguilla marinata.
Di quello che pescavano vivevano in tutti i sensi. In una ciotola erbe e salicornia per insaporire; altro non c’era, ma Benedetto tardava. Selina aspettava, mentre nel cuore si insinuava una strana e inesprimibile angoscia. Fino a che un lungo grido, straziante, funesto, si alzò da un’altra capanna, più in là, su un altro fazzoletto di terra emersa. Il grido spaventò gli uccelli palustri che sguazzavano nell’acqua alla costante ricerca di cibo, così che un volo scomposto oscurò il cielo. E quella nube scese nel cuore di Selina, come a prepararla per una notizia grave. Altri pianti disperati si levarono da altre capanne e giunsero fino alla giovane, benchè da lontano, trasportati dal silenzio immoto di quel luogo che solo il vento interrompeva. Fu la brezza lieve che portò di bocca in bocca la cattiva novella: uomini in armi avevano bloccato le piccole barche dei pescatori. Uomini duri e violenti avevano avuto ragione di quei poveretti armati solo delle reti e dei remi. La donna seppe che Benvenuto non sarebbe più tornato: era coraggioso il so uomo, affrontava senza paura le tempeste che giungevano dal mare, e le piene che il fiume vomitava nelle valli. Nelle riunioni dei pescatori in terraferma faceva valere sempre la sua opinione e molti, se non tutti, l’ascoltavano. Era un uomo saggio, Benvenuto, coraggioso e saggio, ora poi, che stava per nascere suo figlio, era anche un uomo appagato. Ma cosa poteva fare contro pirati o soldati, uomini violenti e armati, lui, un pescatore, uomo libero, certo, ma di poco interesse per la soldataglia sia che fosse dell’una o dell’altra parte in guerra. Selina abbracciò il suo stesso corpo, per proteggere il suo bambino, per impedire che soffrisse ancor prima di nascere, essendo sicura che avrebbe sofferto, e molto, una volta nato. Passò il giorno senza che nessuna notizia giungesse, un silenzio spettrale era sceso sulla laguna, dai pochi casoni sparsi introno, piccole isole quasi galleggianti sulle acque immote. Solo il rauco vociare dei gabbiani e di qualche cormorano interrompeva la solitudine. Anche la notte trascorse, solitaria e silenziosa. Piccole luci brillavano qua e là, lucciole, che la speranza teneva accese per indicare la via del ritorno ai pescatori dispersi e svaniti nel niente. Selina carezzò la testa di Cacciatore, anche il gatto era nervoso: le grida, prima, il silenzio misterioso, ora, l’alterato ritmo di una vita ben nota, rendevano sospettoso il gatto e ansiosa, per non voler essere impaurita la donna. Il figlio le sussultò in grembo.
«Tranquillo, piccolo, vedrai che tuo padre tornerà da noi». Ma Benedetto non era più ornato. Dopo qualche giorno era passato il vecchio Evandro con la sua barca; viaggiava a zig-zag nella laguna, accostandosi ora all’una ora all’altra isoletta, ai radi lembi di terra dove i casoni dai tetti di paglia indicavano un fuoco, una famiglia.
E dopo che se ne era andata, allontanandosi nel chiaro azzurrino dell’acqua solo pianti composti e disperati. Non era passata la Morte, con il cappuccio nero calato sul volto scheletrico, per celare i raggi infuocati che tutto bruciavano. Presso quella povera gente la Morte era compresa e accettata, era l’altro volto della Vita. Ma quello che riferiva Evandro era il racconto di un destino peggiore della morte, ed era un destino che purtroppo spesso era scritto nelle loro vite.
«Selina, Selina esci, devo parlarti». La donna dagli occhi chiari esitava a uscire di casa. Voleva allontanare il momento in cui avrebbe sofferto, sapendo, invece di come ora che soffriva sperando. Poi si decise, per suo figlio, per se stessa, perché in cuor suo non si mentiva.
«Sono venuti i pirati dalmati, se li sono presi. Avevano bisogno di rematori. Non li lasceranno più, a meno che non riesca a fuggire. I nostri uomini sono forti, sono merce di qualità. Abbi fede. Selina, da oggi sarai sola».
Evandro allontanò la barca dalla riva e ripartì nella sua missione di ambasciatore di disgrazie. Pirati dalmati: il peggiore dei mali. Le persone che muoiono cessano di soffrire, e forse anche di gioire, ma sarebbero stati in pace, a sentire quello che diceva padre Manrico, ma essere catturati dai pirati per trascorrere la vita, o almeno quel breve tratto di essa che fatiche e privazioni avrebbero lasciato loro, incatenati ai remi, sotto le intemperie. E sarebbero comunque morti, ma chissà quando e chissà come. Per le famiglie era una tragedia, per Selina la fine.
I giorni e le notti passavano senza che si distinguessero l’una dall’altra finchè una notte un nuovo grido lacerò il silenzio della laguna, ma non di morte questa volta si trattava: Selina sola, lontana da tutti mise al mondo suo figlio. Quando se lo avvicinò al seno le sembrò per un attimo che fosse tornato indietro il tempo e che il marito, la mattina, al rientro dalla pesca avrebbe scoperto di essere diventato padre, finalmente. Ma la realtà la riprese e la riportò al momento presente. Il piccolo si era addormentato, stanco e sazio. Selina sospirò, sistemò il piccolo vicino a sé, sul giaciglio, dove anche lei si distese, esausta, in attesa del giorno per iniziare quel nuovo tratto di vita che le si apriva dinnanzi.
Passarono gli anni; estati assolate, autunni dorati, inverni duri e difficili e primavere che aprivano la speranza di un cambiamento, ma che non mutavano niente della quotidianità. Il figlio di Selina e di Benedetto cresceva bene e somigliava sempre più al padre.
La mamma era riuscita ad allevare alcuni polli sulla piccola zolla di terra emergente, dove sorgeva la sua capanna. Si era ingegnata a fare tutti i lavori che solitamente sarebbero toccati al marito: mantenere in buone condizioni il tetto di canne, cosa non facile ma necessaria, per proteggere la casa e, con questa, la salute sua e del figlio, pescare, non solo per sopravvivere, ma anche per farne un piccolo mercato. Non era avida di denaro, ma doveva pensare che tutti la pensavano come lei e non riusciva a procurarsi ogni cosa le servisse solo con le sue mani. Selina aveva imparato a sbrigarsela da sola senza dover chiedere l’aiuto di nessuno. Evandro non passava più con la sua barca da un’isoletta all’altra, recando notizie e portando piccoli generi di prima necessità che si scambiavano le famiglie; anzi, Selina aveva acquistato un ceto peso in quella comunità, almeno per quanto riguardava la salute: conosceva le poche erbe che crescevano sulle rive salmastre di quei luoghi e aveva imparato a usarle per alleviare dolori o febbri che troppo spesso colpivano la povera gente. L’aria della laguna non era salubre e troppo lontani erano i monaci dell’abazia sulle rive del grande fiume, più a occidente, là dove tramontava il sole. Nessuno si preoccupava della salute della gente del piccolo mare e le conoscenze di Selina erano preziose. La donna, poi, aveva una buona parola per tutti, un consiglio, così che tutti ricorrevano a lei senza timore di essere giudicati o, peggio, condannati. Solo una cosa Selina si rifiutava di fare: non metteva fine a nessuna vita, né di vecchio né di bambino. Sosteneva che per lei sarebbe stato come ammettere che il suo uomo, rapito dai pirati, era perduto per sempre, morto, perché quella vita non era degna di essere vissuta.
«La vita dona vita, è la morte che porta la morte», sosteneva, così nessuna donna si era liberata da un figlio sgradito o perché troppo oneroso per una famiglia povera era una nuova bocca da sfamare. Qui, un giorno caldo d’estate arrivò Orsola, in fuga dal Conte e dai suoi sgherri.