Le tue mani su di me come fossi fior di farina bagnata da impastare, mi girano, affondano, dividono, riuniscono. La tua saliva il bianco d’uovo, le tue labbra il rosso; il tuo sudore la sugna.
Preparerai un riparo e mi distenderai, in attesa. Ti laverai, sgocciolerai, spellerai il cervello e lo farai in quartini, poi agg...iungerai il fegato e il cuore. La tua carne, pesta, come farsa,
attraversata da voglie inaudite. Unirai i tuoi sogni come uovi, i desideri infiniti come piselli e il tuo odore, di terra, come funghi a riempire gli interstizi bagnando poi tutto con l’essenza
calda di te come fosse brodo. Intorno porrai la brace che lenta trasforma. Al momento giusto affonderai la punta di un coltello a provare che io sia pronta a essere rivoltata, tolta dal riparo.
Mi farai scivolare su un piatto di rose, mi taglierai e ti inebrierai del profumo sprigionato dalla fessura. Un sorso di vino a prepararti la bocca e poi, morso dopo morso, boccone dopo boccone,
mi gusterai, assaporando ogni aroma: il chiodo di garofano, la cannella, il vino cotto, il macis, l’arancia candita. Ancora un sorso. Le cicale dietro la persiana socchiusa. Il sole che penetra a
strisce. Il gelsomino nella coppa dell’acqua, ti sciacqui le dita, ti volgi, mi prendi. Il ristoro.
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