Per parlare di quella notte dobbiamo partire dal pomeriggio. L’accordo con una mia amica era di trovarsi a metà strada. Lei sarebbe arrivata in treno direttamente
dall’università e io l’avrei portata in macchina dalle nostre parti, dove ci sarebbe stata la cena. L’innesco di tutto il caos sta proprio qui (o almeno io la vedo così). Il treno fa ritardo; non mi ricordo più: un guasto, un incidente, qualcosa, chi lo sa; totale un ritardo di quasi due ore. Faceva caldissimo; era piena estate.
Una volta arrivata, via di corsa; altra ora e mezza di macchina. Recuperiamo gli altri.
Finalmente si parte in direzione del paese. Posto magnifico. Circolino a mezza costa; freschissimo; pressoché nessun altro cliente in quel giorno della settimana. E poi, a quell’ora! Abbiamo avvisato; ma siamo arrivati che saranno state le dieci di sera. Il gestore era un tipo simpatico. Lo avevamo conosciuto anni prima. Aveva un circolo in un paesino vicino: altro posto dimenticato da Dio; ma non dai vescovi. Infatti ancora oggi vi possono mostrare la casa dove il prelato novarese trascorreva le vacanze estive. Comunque il segnale di riconoscimento una volta arrivati era battere tre colpi sulle lamiere esterne del cucinino; lui arrivava e vi apriva.
Il locale nuovo era meno sgarrupato, ma rimaneva sempre un gioiellino: piccolo, intimo, a misura d’uomo (e di donna).
Il boss borbottò un po’ sull’orario, ma visto che non mancava nessuno all’appello, incominciò ad andare avanti e indietro dalla cucina. Dico che il ritardo e il caldo furono i
veri colpevoli di tutto, perché subito ordinammo un giro di birre medie gelatissime; avevamo sete ed eravamo abbastanza stressati. Qualcuno ordinò anche qualche media scura: sono le più pericolose. A stomaco vuoto, però, tutto è pericoloso. Era tardi, l’ho già detto. Avevamo fame. Quelle birre (sempre colpa del ritardo e del caldo) furono una bomba ad orologeria.
Non eravamo in molti. Qualcuno non si conosceva. Chi arrivava da addirittura due città
diverse, chi era sempre stato del gruppo. Non ci furono problemi di amicizia.
Si fraternizzò immediatamente. Battute, brindisi, motteggi …Il gestore portò i piatti dell’antipasto con un sorriso da compagnone. Si mangiava, finalmente! Ma i nostri neuroni erano già stati minati dalle medie bionde e dalle brune.
Forse sarà successo alla fine dell’hors d’oeuvre o sulla sua ultima portata; ma, quando il fato ci vuole mettere del suo … Wuh! Salta la luce! Imprecazioni del proprietario. Nessuno si era accorto che nel cielo nero di pece di quella notte d’estate si erano addensate spesse nuvole temporalesche. Ci affacciammo e giù verso il lago scorgemmo i primi lampi. Nessun problema. Il gestore però continuava a disperarsi. Metà della cucina non funzionava. Lui aveva da sistemare ancora un sacco di piatti: mannaggia a noi che eravamo arrivati così tardi! Fossimo stati puntuali a quell’ora avrebbe potuto servire gli ammazzacaffè, invece che il primo! Lo confortammo come meglio non avremmo potuto. E riprese il buonumore. Per noi non c’erano problemi, potevamo mangiare qualsiasi cosa. Per noi non c’erano problemi, ma i problemi li
procurammo a lui; o almeno così lui la vide la cosa.
Si era andati avanti nella cena, anche se sono sicuro che non era ancora finita. Forse
eravamo al secondo. Le birre medie erano fluite in abbondanza; gli animi erano
caldi; la luce non tornava; le candele ispiravano.
Il “la” lo diede un mio amico. Una sua compagna di università ad un certo punto disse: - Scusate, vado in bagno -. Lui, “l’Adamo”, ribattè: - Vengo anch’io! -.
Ora continuerò con il resoconto di quello che non riuscimmo a vedere quella sera
riportato dal nostro amico, qualche tempo dopo, in una serata di ricordi struggenti.
Entrati in bagno (però era più una specie di cesso; comunque pulito), chiusero la porta
con il chiavistello. Lei lo guardò e con un sorriso tra il canzonatorio e l’ammiccante gli disse: - E adesso? Cosa vorresti fare? -. Ci raccontò che l’avvinghiò istantaneamente. Aveva un tubino nero senza calze, scarpe col tacco. Fu subito un match molto serio, senza esclusione di colpi. Si baciavano con una certa violenza. Contro il lavandino le aveva già alzato la gonna (che non le sfilò mai del tutto) e allontanato le mutande (cioè sbattute via in un angolo; non furono più ritrovate; mistero). Lui era nudo dalla cintola in giù con pantaloni incastrati nelle scarpe da ginnastica. Optarono per un rapporto da pavimento, anche se le piastrelle erano piuttosto fresche. Il mio amico
giura ancora oggi che fu una cosa stratosferica. Anche perché lei lo incitava a fare un sacco di cose che lui non aveva mai provato. Questo lo mise pure in imbarazzo. Ci raccontò che gli veniva anche da ridere, perché – disse – era come essere in un film porno. Fatto sta che fra frizzi e lazzi stavano da qualche minuto giocandosi la posizione più tradizionale, tra una serie di urla e incitazione della studentessa, quando il gestore con voce disperata incominciò a chiamarli da fuori la porticina, battendo pure qualche pugno sul legno. Non lo sentivano.
Lo studente grazie alle birre medie stava forse allungando i tempi; questo – sempre per seguire il suo racconto – provocò una strana reazione di lei. Urlando gli rinfacciava di non stare provando piacere, era per questo che ritardava l’orgasmo! Assolutamente, ribatteva lui, senza staccarsi dal mezzo: però a quel punto cercò di sbrigarsi. E poi ancora il dubbio: - Ma vado tranquillo? -. La risposta, sempre urlata di lei, fu che prendeva la pillola, ma cosa stava ancora aspettando? L’angoscia.
Si scoprì poi perché il gestore del circolo era particolarmente agitato. Non che due che
praticano nel bagno del locale non sia un motivo sufficiente per arrabbiarsi, ma stava davvero succedendo il finimondo.
Come se tutti si fossero dati il segnale, la compagnia si era dispersa in mille rivoli. Il
buio stava coprendo la deflagrazione della bomba innescata nel tardo pomeriggio.
I racconti successivi hanno permesso un discreta ricostruzione.
Due, ad esempio, avevano incominciato a lasciarsi rotolare giù da una breve rampa che
immette nel cortiletto del circolo, cantando a squarciagola. Altri due, sotto il pergolato di glicine (almeno mi sembra di ricordare fosse questa la pianta), avevano ingaggiato un’altra stranissima battaglia. Lui racconta che le effusioni erano state pressoché immediate. Baci, carezze. Poi, il fotogramma successivo inquadra lei completamente nuda stesa sul tavolone di sasso (sempre appunto sotto il glicine). Ma qui viene il bello. Al momento del dunque – giura il nostro amico – lei si ritira dalla lotta; non vuole; urla di smetterla (poi si scuserà); le operazioni sono sospese.
Ecco perché il gestore era così disperato! Le sue pietanze languivano sul tavolo. I
banchettanti erano sparsi ovunque a trastullarsi. Il caos era indescrivibile.
Lui urlava che i vicini gli avrebbero fatto chiudere il circolo. Insomma: una bolgia infernale.
Come andò a finire? Si prese un cartellino rosso collettivo. Ci chiese di non presentarci
più da quelle parti.
I due del bagno continuarono la sceneggiata anche fuori dal WC. Lei stette male a causa delle birre ingerite e si disperò perché aveva vomitato la pillola. I due della
rampa adesso non si sentono più, perché lui ha continuato a telefonare a lei
rendendole la vita abbastanza impossibile (lei ha cambiato numero di telefono e
lui lo sta cercando disperatamente chiedendolo a tutti i conoscenti comuni). I ragazzi del glicine, dopo quella notte, non si sono più rivisti. Non per una ripicca. Semplicemente vivono a duecento chilometri circa di distanza (lei però continua a essere un poco strana).
E il fattorino del circolo? Dopo qualche anno mollò l’esercizio pubblico e andò a
lavorare in obitorio all’ospedale di Novara (è la pura verità); forse lì i clienti davano meno problemi.
Mi è giunta voce, però, che da lì a poco, purtroppo, pure lui passò a miglior vita.
Il circolo, invece, è sempre lì. Ci sono passata tempo fa con altri amici. Quanti ricordi!
Vabbeh! Forse qualche altra compagnia, un giorno, vi arriverà trafelata a causa di un ritardo ferroviario; e per placare le arsure della sete ordinerà delle medie scure; si
sa: “l’assassino ritorna sempre sul luogo del delitto”.
Mario Ceratti
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