Intorno al tagliere di Daniela Golinelli

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La prima memoria gastronomica è legata al bel ricordo che ho delle donne di casa mia! Si può dire che son cresciuta intorno al tagliere nella cucina, al pianterreno della casa di mio nonno. Così tra odori e sapori, in quella che era un po’ l’anima della dimora, imparavo a distinguere i cibi, capivo dalle manovre delle mie zie l’arrivo di una festa ed in Emilia il simbolo culinario di tutti gli avvenimenti resta sempre il tortellino!Mentre si creava un capolavoro gastronomico, s’intrecciavano discorsi di varia umanità; speranze, sogni, desideri, storie del passato che nei miei ricordi di bambina, si mescolavano alla preparazione del cibo, tanto da abbinare un determinato dialogo con un ben preciso piatto e se mi abbandono ai pensieri di quell’epoca rischio anche oggi di perdermi tra finzioni e realtà.Il passare del tempo era scandito da certi sapori, il mosto dell’uva che bolliva, mi raccontava che si sarebbero mangiati i sughì, l’odore delle mele cotte al forno riempiva la cucina ed io lo respiravo come qualcosa di bello, di positivo e l’anima si riempiva di speranza con la crostata che si cuoceva! Ogni zia aveva la propria specialità, superava le altre in qualcosa di particolare e pensavo di essere fortunata davvero. Un giorno mi dissero che Anna si sarebbe sposata e che quelle erano le ultime volte che dormiva nella casa, piansi come lo si può fare a sei anni, di nascosto ed in solitudine, perché mi sentivo incompresa, esclusa, tutti erano euforici, partecipavano ai preparativi; mi rendevo conto che qualcosa sarebbe cambiato, scioccamente pensavo che nessuno mi avrebbe più fatto “il gnocco fritto” come lo faceva lei! Una cosa però è certa i confetti alle mandorle da allora li ho odiati e non li ho più mangiati.Le domeniche erano scandite con una certa sacralità, da un menù fisso che consisteva nella pentola di carne per il brodo, la pasta fatta in casa, solitamente tagliatelline, che era la minestra preferita da mio nonno, la salsa per il bollito fatta con le verdure miste, che ancora oggi faccio nello stesso modo, il purè di patate e la zuppa inglese, un classico dolce rimasto invariato negli anni. Mia zia Carmen, che da anni ormai non è più con noi, mi viziava a livello gastonomico, in maniera particolare, era molto brava a preparare il ragù; capivo dalle manovre quando era il giorno, infatti in un angolo del tagliere tagliava e pestava le verdure necessarie per il fondo di partenza. Spesso avevo il compito di tenerle mescolate e con un cucchiaione di legno, ormai deformato da tanto che era stato usato, mi sentivo coinvolta e responsabilizzata, al punto che era motivo di vanto con le altre donne di casa. Il primo assaggio di tutto era sempre mio, ma una delle cose che mi allettava di più, era poter raschiare con un cucchiaio, il fondo del tegame dove veniva preparato il budino o la crema, oppure la besciamella per le lasagne!Una sorella di mio nonno, che era stata a lavorare come domestica, per parecchio tempo, presso una ricca famiglia bolognese, introdusse la piacevole abitudine del the, così io e le zie ritagliavamo un piccolo spazio tutto nostro, fatto a volte di segreti e complicità, ora con una, ora con l’altra, uno strano gioco, un modo di pettegolare senza cattiverie né invidie, sulle amicizie comuni e di qualche storiella sentimentale passata ed elogiare con parole grandi i morosi del momento. Si sorseggiava il the insieme al pane imburrato con po’ di zucchero sopra, oppure con qualche biscotto dalle forme simili ai “semi” delle carte da gioco, il cuore, il fiore, il trifoglio ed il rombo. Le parole intorno al tagliere spesso nutrivano più del cibo, almeno così era l’impressione che avevo in quel periodo, alla fine tutto ciò che veniva preparato era necessario, indispensabile, ma la magia dei discorsi e di quello stare insieme, portava tutto l’aspetto legato alle pietanze, in secondo piano, o forse le due cose erano amalgamate talmente bene, da sembrare un tuttuno! La gioia del colloquio, della parola, mescolati al piacere della tavola, che si trasformava in qualcosa di avvolgente, mi cullavo tra la scoperta del cibo e la voglia del sapere e dell’ascoltare.Qualche giorno fa nella cucina di casa mia ho fatto il ragù, con lo stesso metodo usato da chi mi ha preceduto e mia zia Franca, che non essendosi mai sposata e si può dire abbia dedicato il suo tempo libero ai nipoti, ha preparato sul tagliere la sfoglia per le tagliatelle, con l’abilità di sempre, a tratti mi sembrava di essere ritornata indietro nel tempo, la sagacia imbattibile, la testardaggine che forse un po’ ci caratterizza, sono rimaste le stesse. A tavola eravamo in sei. tutti abbiamo esaltato il piatto fumante e rigorosamente spolverato di parmigiano reggiano; “con questo ragù diventerebbe buona qualunque pasta” è stato il suo modo di elogiare, non so dire quanta partigianeria ci fosse nelle sue parole, ma una cosa è certa, Giulia, mia figlia ha ribadito “riuscirò mai a farlo così?”


Commenti: 5 (Discussione conclusa)
  • #5

    Donatella Valenti (giovedì, 15 settembre 2011 20:58)

    Questo racconto mi piace molto

  • #4

    Elio (giovedì, 15 settembre 2011 12:11)

    Tutto molto buono. Speriamo bene

  • #3

    Roberto (giovedì, 15 settembre 2011 12:09)

    MI PIACE

  • #2

    Giuseppe (giovedì, 15 settembre 2011 12:03)

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  • #1

    Chiara Palmieri (giovedì, 01 settembre 2011 14:55)

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